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"Due o tre cose che (non) so della malattia mentale", di Floriana Pinto, in streaming gratuito



In questo momento storico che mai avremmo immaginato di vivere, nel giorno del terzo anniversario della sua uscita, si è deciso di condividere il documentario Due o tre cose che (non) so della malattia mentale di Floriana Pinto con chi lo ha amato e con tutti coloro che non hanno ancora avuto l’occasione di vederlo.

Presentato il 21 Aprile 2017 nell’ambito della Mostra Schedati perseguitati sterminati. Malati psichici e disabili durante il nazionalsocialismo, esposta nel Complesso del Vittoriano di Roma, è da oggi disponibile online.
Il film, nell’arco di 25 minuti, indaga a più voci il tema della malattia mentale nell’attualità: alcuni studenti delle medie attraverso il teatro provano a inscenare le loro opinioni; i vissuti e le speranze di chi vive in una comunità terapeutica, il metodo e le considerazioni di chi ci lavora, la testimonianza degli esperti che della malattia mentale ne combattono lo stigma.
È un racconto sincero e struggente, carico di speranza e al quale non mancano momenti ironici. Il film è il frutto della collaborazione consolidata tra le associazioni Blue Desk e Netforpp Europa. Dopo l’anteprima alla Mostra al Vittoriano è stato presentato in concorso al "Lo Spiraglio" Filmfestival della salute mentale al MAXXI - Museo nazionale delle arti del XXI secolo di Roma.
Lo scorso anno ci ha lasciati uno dei protagonisti di questo racconto, lo psicologo e psicoterapeuta Canio Tedesco. Questa condivisione è anche un’occasione per noi, e per chi l’ha conosciuto, di ricordarlo. 

PER VEDERE IL FILM ANDATE QUI

Anche oggi 10 novembre "Ho fatto una barca di soldi", il film documentario di D. Acocella, al Festival del Cinema di Roma.




Leggi anche la recensione di S. Maggiorelli su LEFT, qui.

Link al sito per acquisto dei biglietti del Festival: QUI



Un viaggio lungo un giorno, ventiquattro ore con l’artista Fausto Delle Chiaie, ironico dissacratore, pioniere della Street Art e fondatore del Manifesto Infrazionista. Un uomo dallo sguardo acceso, barba folta e che, alla soglia dei suoi settanta anni, ha un unica missione davanti a sé: far conoscere l’arte contemporanea a tutti quelli che mai metteranno piede in un museo.
Dopo un lungo peregrinare all’estero, Fausto, si stabilisce a Roma, un carrello della spesa è il suo Atelier e Piazza Augusto Imperatore il suo spazio espositivo. Qui, da oltre quarant’anni affina la sua arte più raffinata: massaggiare il muscolo atrofizzato della sensibilità collettiva.
Un viaggio che mescola l’uomo all’artista e l’artista all’uomo.



“Ho fatto una barca di soldi” è il titolo di un opera di Fausto Delle Chiaie, una barchetta costruita con la stagnola piuttosto che con della plastilina, e riempita al suo interno con monete da pochi centesimi. Le prime volte che mi fermai a parlare con Fausto, avevo la sensazione che il tempo si fermasse e il mondo esterno scomparisse all’istante; mentre lui con lo sguardo si preoccupava di capire se avessi dato il giusto peso al titolo e alla sua opera, controllava che non gli rubassero la scatola delle offerte. Esporre per strada significa esporsi anche a certi rischi mi diceva sorridendo; e quello che mi ha colpito di più da subito, mentre la gente ci passava accanto divorata da difficoltà, crisi economiche e sociali, è stata la sua serenità, il suo sentirsi appagato solo grazie all’esprimere quotidianamente le sue esigenze creative.
Fausto non lo aspetta nessuno, lui non aspetta nessuno, non ha regole e non ha leggi da rispettare. Eppure ha sempre scelto lui di stare all’esterno, e quello che io continuavo a non capire era il senso di tutto questo viaggio quotidiano. Si perché Fausto abita ad un’ora e mezza di treno dalla capitale, ed ogni mattina ed ogni sera affronta le distanze senza paura. La risposta è semplice: ricerca.
Quando gli ho chiesto perché aveva deliberatamente scelto di stare lontano dagli spazi espositivi convenzionali, mi ha risposto che le sue opere non c’entrano nei musei, ma non per questioni di spazio, ma per una questione di senso. Folgorato dal suo sguardo sul mondo, ho deciso così di intraprendere un viaggio che scavasse nella radice più profonda dell’essere artisti, nel genoma della creatività più pura e spontanea, dove ovviamente, il rapporto con il pubblico, è indispensabile.
Mosso dalla volontà di abbattere l’archetipo dell’artista pazzo e solitario, avevo la necessità di capire più a fondo quale fosse il segreto della sua felicità, e se questa nascondesse codici universalmente validi per chiunque altro.